lunedì 22 dicembre 2025

UNA STORIA BANALE

"Ci sono storie che sembrano grandi amori e finiscono per rivelarsi soltanto illusioni. Ci sono notti di musica sotto casa, di lacrime e di silenzi, che restano scolpite più di mille parole. Questa è la mia storia - chiamata banale, ma che ha segnato il cuore e la memoria. Un racconto di errori, di dignità e di resilienza, che oggi diventa pagina e rito."


Come mi chiamo e chi sono non importa… Aiuteranno le iniziali a raccontare questa storia: un’avventura che avventura non è stata, e che come molte persone hanno vissuto nella loro vita credendola unica o importante. Un rapporto che, a distanza di anni, l’unica cosa che si possa dire è solamente:

"Quello che sembra banale diventa un gioiello, perché ogni errore è una porta di luce."

UNA STORIA BANALE

Quando, con due amiche, entrai vestita elegantemente di rosso scuro, con i capelli biondi sciolti sulle spalle, in quel locale molto bello, lui mi guardò incantato. Neppure i suoi amici seduti a fianco riuscirono a distoglierlo dalla mia figura. Quando noi amiche finimmo l’aperitivo, ecco che lui venne dalla nostra parte sorridendo.

Mi colpirono i suoi occhi caldi e scuri, i capelli ricci e quel fare scanzonato che mi fece subito capire quanto fosse più giovane di me. «Mi chiamo S.» disse porgendo la mano. Io risposi banalmente: «Ciao, io sono P., e le mie amiche stranamente pure…» Ridiamo tutte e tre: iniziali uguali.

Da quel giorno mi fece una corte serrata, fino al suo compleanno. Mi invitò alla festa. Scoprii, dopo aver ceduto a un suo bacio davanti a una luna incredibile di metà ottobre, che aveva solo 22 anni, ed io undici in più.

Per me fu un problema. Certo, non si notava tutta quella differenza: i suoi capelli ricci e la barba incolta lo facevano sembrare più grande della sua età. Così, tra paure e riluttanze, iniziò la nostra storia.

I primi mesi furono incredibili: avventure, corse in macchina, amore puro, notti a casa mia o in alberghi per i weekend fuori porta. Non mi sembrava vero: avevamo tutto in comune — musica, cinema, cibi, gusti per le vacanze, per le letture…

Eppure, dopo un po’ di tempo, lui mi sembrò strano. Credetti fossero problemi familiari, visto che il padre era stato poco bene. Poi i nostri incontri si fecero meno frequenti. 

«Mi hanno cambiato i turni di lavoro» disse accendendosi una sigaretta, quella sera nebbiosa, accarezzandomi il viso e i capelli raccolti. «Sembri una bimba, P.» mi disse, e mi baciò…

Da quel giorno il nostro amore fu preso da una frenesia incontrollabile. Ci vedevamo in ore impensabili: io come una furia lo incontravo a mezzanotte, nella pausa del mio lavoro, oppure quando combaciavano orari più comodi. 

Eppure c’era qualcosa che non andava. Non ascoltavo le mie amiche o i suoi amici, che ogni tanto accennavano a cose strane.

Me lo dicevano anche le amiche più care — P., A., L. — secondo loro S. nascondeva qualcosa. La sensazione che sapessero più di quanto mi raccontavano cresceva ogni giorno di più.

E fu un pomeriggio triste di novembre che lo scoprii banalmente.

Il suo segreto era una bellissima ragazza di diciotto anni, con due occhi incredibili color del mare, figlia del proprietario di una gelateria-pub del centro. Ci entrai un giorno per caso con L., e lui era là. Mentre la baciava. Fuggii di corsa.

Dio, che storia banale, che storia idiota, stupida… Una trentenne che fino ad oggi aveva fatto la cretina con un ragazzino, credendosi baciata dalla fortuna e dall’amore. Mi sentivo talmente sciocca che non mi accorsi di stare quasi correndo come una bimba che fugge davanti a un ragnetto.

«Fermati!» Dopo una frenata quasi rabbiosa, la sua voce alle spalle mi fece sobbalzare. Continuai a camminare sempre più veloce verso casa. «Sali, ti prego, devo parlarti…» ormai era di fianco, con i finestrini abbassati e la voce implorante.

Dentro di me mi imponevo di non salire, di non ascoltarlo. Ti sta prendendo in giro, punzecchiava la mia coscienza.

Dieci minuti dopo eravamo fermi in campagna, sotto un cielo grigio. Il nostro silenzio era più forte di un temporale. Poi la sua voce incominciò a raccontare cose che non riuscivo a capire:

«Si era innamorata di me… Ho ceduto… Era bellissima e avevo bevuto un po’… Era minorenne… Ora suo padre vuole che la sposi… Sai, hanno una mentalità… Ma io voglio bene a te…»

E via dicendo, mentre la mia mente urlava: Non ti ama, cretina, ti sta raccontando un mucchio di palle. Mi baciò. Cercai di rifiutare, ma non fu facile.

Era notte quando mi riportò a casa. Mia madre alla finestra, il suo sguardo di rimprovero e preoccupazione. Quando entrai non disse nulla. Mi chiusi in camera a piangere.

Giorni dopo la voce si sparse: lui aveva lasciato lei e le disse pure il motivo. Così, una sera, dopo due settimane, mi trovai sotto casa il padre e lo zio di lei. Furono gentilissimi, nonostante gli occhi gelidi. Alle loro domande negai. 

Dissi solo che S. si era preso una cotta per me, come succede a molti ragazzi per una più grande, ma che da donna consapevole non avrei mai avuto una relazione con lui, troppo giovane. (Che stupida sono, pensai in quel momento).

Il padre mi sorrise malizioso. Mi venne la nausea. «Una bella ragazza come lei dovrebbe trovarsi un uomo forte e grande…» sottintendendo che lui, quarantenne bello ed elegante, era disponibile. 

«C’è già» risposi con un sorriso, guardandolo negli occhi vellutati e scuri. «Bene…» continuò. «Sono contento che siano tutte chiacchiere, anche perché i due ragazzi sono tornati insieme e con la famiglia di S. stiamo già parlando di matrimonio.»

Che tuffo al cuore. Ma rimasi sorridente e impassibile, mormorando qualcosa come auguri o felicitazioni.

Non uscii di casa per giorni, se non per lavoro. Non volevo incontrarlo o trovarmelo davanti in qualche via isolata. Finché una sera, mentre ero già a letto e stavo leggendo un libro, sentii la sua auto fermarsi sotto casa. 

Spensi l’abat-jour. Una musica, la nostra canzone, saliva leggera fino a me dalla sua auto. Piangevo stringendomi alle coperte. Che freddo sentivo dentro.

Improvvisamente si aprì la porta ed entrò mia madre. «È sotto da più di mezz’ora… Che intenzione hai?» disse con voce dolce. «L’intenzione di dormire, mamma. Domani sarà una giornata di lavoro pesante e vorrei essere in forma.» «Capisco» mormorò, dandomi un bacio sulla fronte, sentendo il mio dolore. 

«E lui?» 

«È stata solo una storia banale» dissi, guardando nell’ombra la sua figura che accennava un sorriso. «Una donna sensibile come me non dovrebbe mai mettersi con un ragazzino… È passata, mamma, te l’ho detto: è stata una storia banale.»

Chiuse la porta alle sue spalle. Io piansi tutta la notte. Alle quattro sentii un rombo e uno stridio. Corsi alla finestra: era lui che se ne stava andando via con rabbia. Era rimasto fino a quell’ora ad aspettare inutilmente una donna che forse amava, ma che forse per lui era stata solo una storia banale.

"Non fu amore, ma fu memoria. Non fu fortuna, ma fu forza. Non fu banale, ma fu mia."

Per chi ha vissuto una storia banale:

"Ogni storia che sembra banale porta con sé un frammento di verità. Non importa se è stata errore o illusione: resta come segno, come ricordo, come sporta sull'universo. E quando la si racconta, smette di essere banale e diventa luce."

Giampaolo Daccò Scaglione

 

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