FOTOGRAFIE
Una foto dimenticata dietro un divano
"Ogni immagine che cade dietro un divano non è persa:
diventa un frammento segreto, un sigillo che attende di essere ritrovato."
"Questa pagina è stata incisa nel giorno in cui una foto dimenticata tornò a farsi vedere. Il volto senza nome fu la mia ferita, la dedica senza firma il nostro segreto. E il sigillo custodisce la certezza che anche i ricordi spezzati possono diventare luce."
Quante foto sparse sulla scrivania: è difficile sistemarle tutte negli album vuoti appoggiati sulla poltrona accanto alla libreria.
Ho sempre amato la fotografia e mi diverte tantissimo guardarle da lontano: un miscuglio di colori, di case, di montagne, di mari, di persone, di volti.
Cerco di dividerle in base all’anno di scatto, alla vacanza, a un periodo bello o brutto. Sposto quelle con paesaggi vicino a quelle degli animali, poi all’improvviso la vedo: quella foto dimenticata da tanto tempo e nascosta chissà dove, come se non volesse più farsi trovare.
Ho sempre pensato che si fosse persa in uno dei miei traslochi in città.
Quel volto è lì davanti a me dopo anni lontani, sorridente accanto a me, appoggiati a una staccionata, e dietro di noi il mare azzurro. Sul retro una dedica d’amore senza firma: lo faceva spesso, sui bigliettini, sulle lettere, sullo specchio del bagno, ma sempre senza il suo nome.
Il motivo per cui non lo scriveva mai l’ho sempre saputo fin dal giorno in cui la nostra breve e intensa avventura iniziò. Avevo accettato quel piccolo difetto senza discutere: neanche una sigla, niente. Ma mi andava bene così com’era.
La sua era una paura: la paura di essere riconosciuti, di sapere che quella persona nota avesse una storia con un perfetto sconosciuto, né ricco né bellissimo. Era terribile vedere il terrore negli occhi quando qualcuno ci fissava più del dovuto.
E nonostante i camuffamenti e le trovate - dagli occhiali al cappello, agli abiti anonimi - mi chiedeva sempre in tensione: “Mi avrà riconosciuto?”. “Non credo…” rispondevo io, sorridendo ma con una spina nel cuore.
Non stavo con quella persona perché era famosa, anzi non la conoscevo neppure quando ci siamo visti la prima volta in quel locale di Milano. Mi stupisco ancora di come abbia potuto prendermi in considerazione a quei tempi.
Eppure mi sembrava bello stare insieme in posti dove nessuno ci conosceva.
Ricordo che seguii una pubblicità che stava per girare vicino alla stazione centrale, mentre restavo nascosto tra la folla. E così il tempo passava e noi con lui.
Poi, in quel pomeriggio di primavera, mi disse quella frase che ricorderò per sempre: “È finita, il mio agente l’ha saputo e devo chiudere qui. Se hai delle foto nostre ti prego di ridarmele, mi dispiace.”
Fu terribile.
Terribile il modo, terribile come aveva deciso tutto così in fretta, terribile non vederci più, terribile come cadde la mia stima nei suoi confronti.
Tutte le foto tornarono nelle sue mani, compresi i negativi, tranne questa: involontariamente caduta dietro al divano quando le misi in una scatola per ridargliele.
La trovai due giorni dopo, ma ormai non potevo più cercare quella persona. Sì, quella persona: non mi riuscì più di chiamarla per nome, neanche quando vedevo alcune foto sui giornali o in televisione.
Qualche tempo dopo passai davanti alla sua agenzia in centro, ma seppi da una truccatrice che incontrai nel bar vicino, del suo trasferimento a Roma e dei suoi fidanzamenti veri o presunti alla luce del sole.
Mi venne da ridere: povero me, se avessi continuato.
Ora quella foto è qui tra le mie mani: una piccola testimonianza che sinceramente non dice più nulla. Due visi, il mio e il suo, anonimi nonostante a quel tempo il suo fu pubblico a tanti.
Non so se strapparla o rimetterla fra le altre. Poi vedo le mie mani dividerla in tanti pezzi… ma è solo un pensiero, la foto è ancora lì che mi guarda.
Per me è stata la fine di un piccolo sogno e di un ricordo finito in nulla.
Giampaolo Daccò Scaglione

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